UN'ORDINARIA GIORNATA D'AUTUNNO
Dispaccio da una scuola occupata
Il ragazzo si rannicchia sotto le coperte; è tornato tardi da scuola dopo una notte insonne. Altri ragazzi, non più di una quindicina, sostano davanti al cancello, qualcuno con lo zaino addosso rigonfio, non si sa per quale lezione. Dentro la "Skuola occupata" un manipolo di soldati di ventura, gli abiti sconquassati, occupa l'auditorium, dove in realtà niente c'è da udire, nulla da imparare. Un tambureggiare incessante sui banchi rende l'aria assordante.
La professoressa, con la borsa già pronta sotto il braccio, fa la sua quotidiana telefonata: "Ci sono ancora Preside? Ah, ci sono anche oggi; embé, cosa ci possiamo fare..? Vabbé, preside, mi faccio risentire domani".
Il preside della scuola abbassa la cornetta impotente, solleva le braccia e mi fa: "Non volevano farti entrare? Quando li acchiappo..!". Il preside è abbattuto, si sente sconfitto, cerca di chiarirmi il suo stato d'animo ma le sue fioche parole sono ancora coperte dal suono cupo dei banchi-bongo e da urla che fanno rimbombare tutto l'edificio.
Fuori dalla scuola neanche un docente, neanche un genitore, assente la forza pubblica, nessun'ombra di nessuno, tutti sconfitti, tutti fingono di non vedere, tutti inconsapevolmente pronti a considerare povera merce la cultura. Anzi no, che dico nessuno, di là arriva baldanzoso un professore, un mio vecchio amico di scuola, mi saluta, resta a parlare sotto la finestra. "Ne ho approfittato per fare un salto in Provveditorato" mi dice, "per preparare le carte. Vado in pensione... e tu sempre in gamba, eh?". "Non lo so" gli rispondo "sono un po' scoraggiato...". "E sì, speriamo che ce la facciano questi, che riescano loro a modificare qualcosa... non so tu cosa ne pensi, ma anche noi, alla loro età, lo abbiamo fatto...".
Non gli rispondo, anche perché mi accorgo che all'improvviso i "tamburi" hanno ripreso ancora più eccitati a rullare e, dallo spiraglio della porta, vedo ch'è salita su un cubo una ragazza col ventre nudo ed una cresta color lilla sulla testa, mentre cento mani tamburellano sui banchi.
Poi mi giro ancora verso il mio amico professore: "Noi, però, alla loro età, discutevamo di più e ci toccava un sette in condotta se ne approfittavamo...". Ma già lui non mi ascolta e, mentre mi saluta affettuosamente, segnandomi con il taglio della mano, dice: "Ah fetentone! e cosa potevamo fare noi, senza le donne. Ti piacerebbe stare ora..?"
Sì, mi piacerebbe stare, dico mentalmente, mi piacerebbe stare.
Torna il preside, di ritorno dal bagno delle ragazze, "giacché non mi fanno andare neanche al cesso", ed alla mia domanda risponde che i genitori se ne infischiano. "Li ho mandati a chiamare ed uno mi ha perfino minacciato di farmi pagare la giornata di lavoro che ha perso per venire da me. Un avvocato con il figlio maggiorenne mi denuncerà per abuso di potere. Non so che farci".
"Ma cosa chiedono i ragazzi? Non ho visto una sola scritta...".
Mi risponde.
"Molti chiedono solo di starsene a letto, senza la scocciatura di alzarsi presto la mattina. Altri vogliono stare tra di loro ed insieme alle ragazze. Anche restare qui dentro, al suono roco dei loro falsi tamburi, è affascinante. I più politicizzati, una diecina, vogliono una scuola da cambiare."
"Ma lo hanno già chiesto a De Mauro, lo hanno chiesto a Berlinguer, ed altri ragazzi prima di loro lo hanno chiesto al ministro Lombardi, alla mai troppo vituperata Jervolino. Come deve essere la loro scuola?"
"Diversa".
Non insisto. Il preside, sempre più sconsolato va a sedere alla sua scrivania per dare una scorsa alle circolari, che non cessano d'aumentare nonostante l'Autonomia scolastica. Questo da fare, questo da non fare, procedure da seguire, scadenze da rispettare, monitorare, valutare, assicurare, segnalare, vigilare. Nessuna circolare che dica: scuola da far funzionare, mete da raggiungere, cultura da rispettare.
Non ne vuole più sapere, il mio collega. Preferisce immergersi nelle sue carte e dimenticare la realtà. Così mi verso anch'io nelle carte... della gradevole lettura del giornale. Anche sul giornale si parla di scuola, ma non delle ricorrenti occupazioni. E' una vecchia regola: ai giornali non interessa il cane che morde l'uomo. Si parla, invece, sul giornale, del "taglio netto di lezione" che vorrebbe imporre il ministro Moratti, la quale sembra non essersi accorta che il taglio netto c'è già stato, per volontà di tanti.
Ma questo non è di grande importanza rispetto a quanto è più sotto riportato dallo stesso giornale. Mi immergo subito nell'articolo, che contiene un sondaggio svolto dall'O.C.S.E., dal quale emerge un quadro a dir poco scoraggiante, dei nostri ragazzi che frequentano le scuole superiori. Sui 32 Paesi più industrializzati del mondo, gli italiani si "salvano" solo nei test per la comprensione di un brano scritto, conquistando la ventesima posizione. Scendono più giù, invece, sia in matematica che in scienze e, in generale, dimostrano una preparazione astratta, incapace d'affrontare la realtà.
Mi accingo ad uscire dalla presidenza, piegando il giornale col deludente sondaggio, ma stranamente mi accorgo che il rumore s'è acquietato, come per incanto. Mi butto fuori dalla stanza e vedo che i ragazzi si sono raccolti a ferro di cavallo intorno a due sedie, sulle quali due giovanotti più grandi parlano agli occupanti e soprattutto cercano di farsi sentire, giacché molti vanno su e giù, entrano ed escono dalla scuola, fumano o rispondono al telefonino. Solo pochi ascoltano o fingono di farlo.
"Voi avete visto cosa abbiamo saputo fare a Genova" dicono, con aria fintamente consumata. "Se siamo uniti loro hanno paura di noi. Voi state mostrando con questa occupazione un modo diverso di stare insieme, anzi è un modo vecchio ma oggi è diverso e quindi un altro mondo è possibile. Occorre pensare globalmente ed agire localmente. Sapete quanto costa una sola nave per spostarsi nel Golfo Persico? Costa parecchi milioni, costa. E se spendono tutti questi milioni per la guerra non possono spendere per la scuola. Gli Stati Uniti e Bush avevano già tutto previsto. L'Afghanistan e le torri sono stati un pretesto. Per questo non potete lasciare. E se continuate a rimanere uniti, alla fine qualcosa accadrà".
Finalmente mi fermo in mezzo a loro, finalmente si parla.
Urlo: "Un microfono, dategli un microfono!" Mi rivolgo a qualcuno: "Non c'è un microfono?".
"Non abbiamo microfoni", è la risposta sconfortata di un ragazzo dal tenero sguardo, celeste come il mare.